Tra il 1882 e il 1889 migliaia di trentini lasciano la loro terra in cerca di una vita migliore. I loro documenti di viaggio ci raccontano un pezzo delle loro vite.
Gli archivi sono ricchi di tracce che testimoniano la mobilità degli individui nella storia. Il progetto Mapping Mobilities, promosso da FBK-Istituto Storico Italo-Germanico in collaborazione con FBK-Digital Commons Lab, Fondazione Museo Storico del Trentino, Archivio provinciale di Trento e Archivio di Stato di Trento, ha analizzato i registri conservati nel fondo Commissariato di polizia dell’Archivio di Stato di Trento, con l’obiettivo di ricostruire le traiettorie della mobilità dei trentini del secondo Ottocento.
Tra il 1868 e il 1915 sono quasi 60.000 i trentini e le trentine che richiedono documenti per mettersi in viaggio. Si tratta di spostamenti a volte definitivi, altre volte temporanei, legati in buona parte a ragioni lavorative e alla ricerca di migliori condizioni di vita. Per il progetto sono state isolate le richieste presentate tra il 1878 e il 1891, anni in cui la mobilità trentina conosce un picco significativo a causa delle fragilità del tessuto economico-sociale locale e di alcuni devastanti eventi naturali. I documenti richiesti da chi decide di partire sono in gran parte passaporti, ma non mancano libretti di lavoro o di servizio che attestano la propria professione, né carte di legittimazione che certificano un’assunzione o un’immatricolazione come studente. Dei documenti richiesti non rimangono gli originali, ma solo i dati riportati nei registri. Sono elementi preziosi, che consentono di conoscere nomi, provenienze e destinazioni di migliaia di trentini che nel secondo Ottocento hanno deciso di muoversi oltre i confini della regione.
Per spostarsi all’interno dell’impero asburgico non erano necessari documenti di viaggio o di lavoro. Le tracce lasciate dagli spostamenti dei trentini sono, quindi, spesso molto incerte. Tuttavia, a partire dal 1878 le richieste per passaporti aumentano considerevolmente, soprattutto nei periodi successivi alle alluvioni.
Nel 1882, in corrispondenza della prima grande alluvione, c’è un primo picco nelle partenze, seguito da una stabilizzazione negli anni successivi e un nuovo picco nel 1889, anno di un’altra importante alluvione. Il picco del 1889 segna un deciso aumento nei volumi migratori, che rimane tale fino a metà degli anni ’90. Nel 1880 il territorio trentino conta 347.203 abitanti, che nel 1890 salgono ad appena 349.203.
Lo scarsissimo sviluppo demografico registrato in questo decennio pone il Trentino in linea con le statistiche di sviluppo del Regno d’Italia, un territorio pesantemente segnato dalla migrazione, più che con quelle del resto dell’impero asburgico.
Le oltre 12.000 richieste di documenti di viaggio e le partenze non documentate hanno impattato pesantemente sulla crescita demografica; sono l’espressione di un paese che andava via via svuotandosi.
La Valle dell’Adige, l’Alta Valsugana, la Val di Cembra e la Val di Non sono indubbiamente le valli più rappresentate nel campione considerato; questi sono indicati come luoghi di origine in oltre 9000 passaporti.
La Valle dell’Adige e l’Alta Valsugana - Bersntol coprono rispettivamente il 24 e il 28% di tutte le provenienze. Altre valli trentine isultano significativamente meno rappresentate. Dalle Giudicarie proviene solo lo 0.1% dei richiedenti passaporto di cui si trova traccia nei registri, nonostante storicamente i suoi abitanti siano stati tra i più girovaghi, a causa di professioni quali il venditore ambulante o l’operaio ferroviario.
Allo stesso modo, il Tesino e la Bassa Valsugana, con i loro arrotini, la transumanza e i venditori di stampe, risultano aver dato i natali solo allo 0.78% dei migranti. La Val di Fassa e la Vallagarina combinate non raggiungono nemmeno l’1% del totale delle provenienze. Dare una spiegazione soddisfacente a queste anomalie risulta difficile. Il passaporto non è un documento obbligatorio per muoversi entro i confini dell’Impero asburgico e anche varcare i confini nazionali senza documenti è cosa abbastanza comune; possiamo presumere che semplicemente non si sentisse l’esigenza di richiederlo. È inoltre possibile che per alcune tipologie di mestiere, tramandati in ambito familiare, gli spostamenti continui fossero una pratica consolidata che non necessitava di alcuna forma di ufficialità.
Non è poi da sottovalutare l’atteggiamento ostile del governo verso l’emigrazione, scoraggiata quando non ostacolata, specialmente nel caso di giovani uomini che partono a ridosso del proprio periodo di leva. Infine, va considerato che cambiare residenza non era facile o scontato come si potrebbe pensare. All’origine di queste difficoltà vi è soprattutto la necessità di mantenere il diritto di incoltato, ovvero il diritto di assistenza in caso di povertà che tutti i comuni dell’impero dovevano garantire ai propri cittadini. Spostare la residenza all’estero, ad esempio, significa perdere questo diritto.
Nei casi di mobilità interna all’impero o al continente europeo si tratta soprattutto di spostamenti temporanei, con documenti di validità compresa tra i 3 e i 12 mesi. Ciò indica una mobilità di tipo soprattutto stagionale, legata al tempo dei raccolti o dei cantieri ferroviari. Contadini e allevatori si dirigevano principalmente in Austria, Germania e Svizzera, mentre gli operai ferroviari (aisempòneri) arrivarono a operare anche in Russia.
Le crisi ambientali ed economiche della seconda metà dell’Ottocento comportano una forte crescita della mobilità, sia interna che esterna, ma soprattutto introducono il tema delle migrazioni transoceaniche. Pur rappresentando solamente il 5% delle destinazioni raggiunte dai trentini, esse raggiungono un picco alla fine degli anni ’80. Le destinazioni degli spostamenti sono indicate solo genericamente, col nome dello stato ma spesso solo con il continente (“Sud America”) o l’impero (“Austria-Ungheria”).
I dati inerenti alle professioni mostrano come una larghissima parte dei migranti, ben oltre il 50%, avesse lavori precari, definiti sui documenti come “giornalieri”, mentre i rimanenti si dividono principalmente tra artigiani, contadini, operai, tagliapietre, negozianti e commercianti itineranti. La precarietà è ancora più presente nei migranti di giovane età, che ancora non hanno avuto l’opportunità di trovare un’occupazione stabile; essa rappresenta comunque la principale condizione lavorativa anche per le età più avanzate. L’assenza di un mestiere stabile in un numero così alto di persone è la chiara manifestazione di un’economia non più in grado di assorbire l’intera manodopera e in cui nemmeno la mera sussistenza è possibile.
I dati inerenti alle professioni mostrano come una larghissima parte dei migranti, ben oltre il 50%, avesse lavori precari, definiti sui documenti come “giornalieri”, mentre i rimanenti si dividono principalmente tra artigiani, contadini, operai, tagliapietre, negozianti e commercianti itineranti. La precarietà è ancora più presente nei migranti di giovane età, che ancora non hanno avuto l’opportunità di trovare un’occupazione stabile; essa rappresenta comunque la principale condizione lavorativa anche per le età più avanzate. L’assenza di un mestiere stabile in un numero così alto di persone è la chiara manifestazione di un’economia non più in grado di assorbire l’intera manodopera e in cui nemmeno la mera sussistenza è possibile.
Mentre nei secoli precedenti la mobilità era stata soprattutto una questione maschile, nel XIX secolo inizia a coinvolgere sempre più le donne. La mobilità femminile rimane comunque una minoranza sul totale degli spostamenti; nel caso dei passaporti censiti sono solo 908, a fronte di 11.496 uomini, ma risulta comunque interessante per alcune sue caratteristiche.
Le donne che si spostavano erano principalmente domestiche o sarte, nubili per le quali il viaggio implicava anche una decisa spinta verso l’emancipazione, verso una vita e una professione lontane dalle dinamiche di paese e di famiglia. Più diversificato è il campo delle professioni delle donne che partivano per raggiungere il marito oltreoceano; qui troviamo contadine, casalinghe o lavoratrici precarie di vario genere. Proprio quest’ultima è una caratteristica peculiare della mobilità del tardo Ottocento. Con l’aumentare dei trasferimenti oltreoceano cresce anche il numero di donne che decide di lasciare il Trentino in favore di un nuovo continente; ha inizio la mobilità extracontinentale femminile.
Numerose testimonianze conservate nelle istituzioni locali ci aiutano a restituire la dimensione umana della mobilità trentina. L’Archivio della Scrittura popolare conservato presso la Fondazione Museo storico del Trentino include diari ed epistolari di persone che tra Otto e Novecento hanno scelto di abbandonare le proprie terre; alcuni estratti dei loro documenti ci permettono di restituire i contorni di quelle esperienze.
Il progetto ha permesso la trascrizione dei dati anagrafici contenuti nei documenti (in gran parte richieste di passaporto, ma anche libretti di lavoro e carte di legittimazione) emessi nel periodo 1878-1891. I dati sono a disposizione dell’utente, che potrà effettuare ricerche su campi specifici, come il nome o la provenienza. L’assenza di eventuali dati è da attribuire all’incompletezza di molti documenti. Nel fondo archivistico sono reperibili unicamente i dati riportati nella piattaforma, non invece gli originali dei documenti, rimasti in possesso dei richiedenti. Le abbreviazioni riportate nei documenti sono state mantenute, nel rispetto delle fonti.
nome | data di nascita | luogo di nascita | sesso | mestiere | data rilascio passaporto | validita passaporto | espatri |
---|---|---|---|---|---|---|---|